LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE 
                           Sezione lavoro 
 
    Composta dagli ill.mi sigg.ri magistrati: 
        dott. Antonio Manna - presidente; 
        dott.ssa Enrica D'Antonio - consigliere; 
        dott.ssa Rossana Mancino - consigliere; 
        dott.ssa Daniela Calafiore - relatore consigliere; 
        dott. Luigi Cavallaro - consigliere; 
    ha pronunciato la seguente ordinanza interlocutoria  sul  ricorso
14498-2018 proposto da: 
        INPS - Istituto nazionale previdenza  sociale,  elettivamente
domiciliato in Roma - via Cesare Beccaria n. 29 -  presso  lo  studio
dell'avvocato  Antonietta  Coretti,  che  lo rappresenta  e   difende
unitamente  agli   avvocati   Vincenzo   Stumpo,   Vincenzo   Triolo,
ricorrenti; 
    Contro Belpagoda Gamace Sumanadasa, elettivamente domiciliato  in
Roma, in  piazza  Cavour  s.n.c.,  presso  la  Corte  di  cassazione,
rappresentato e difeso dagli avvocati Neri Livio e Guariso Alberto  -
controricorrenti; 
    Avverso la sentenza n. 772/2017 della Corte d'appello di  Torino,
depositata il 6 novembre 2017; 
    Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza  del
3 marzo 2021 dal consigliere dott.ssa Daniela Calafiore. 
 
                          Rilevato in fatto 
 
    1. Sumanadasa Belpagoda Gamage ha proposto ricorso, ai sensi  del
decreto legislativo 1° settembre 2011, n. 150, art.  28  e  dell'art.
702-bis del codice di procedura  civile,  al  Tribunale  giudice  del
lavoro di Alessandria, nei confronti  dell'Istituto  nazionale  della
previdenza sociale (INPS), lamentando  il  carattere  discriminatorio
della negazione da parte dell'INPS dell'assegno del nucleo  familiare
per il periodo compreso tra gennaio-giugno 2014 e luglio-giugno  2016
nel corso del quale tutti i suoi familiari avevano lasciato  l'Italia
per rientrare nel Paese d'origine (Sri Lanka) ed ha chiesto ordinarsi
la cessazione  di  tale  condotta  con  la  condanna  dell'INPS  alla
restituzione delle somme trattenute con predisposizione di  un  piano
di rimozione degli effetti negativi ai sensi del decreto  legislativo
n. 150 del 2011, art. 28. 
    2. Il Tribunale  di  Alessandria,  in  funzione  di  giudice  del
lavoro, ha rigettato il ricorso e la Corte d'appello  di  Torino,  su
impugnazione proposta da S. Belpagoda Gamage, ha accolto  la  domanda
riformando la decisione  del  Tribunale  sulla  base  delle  seguenti
argomentazioni: a) il decreto-legge n. 69 del  1988,  art.  2,  comma
6-bis conv. in legge  n.  153  del  1988,  la'  dove  esclude  (salvo
specifiche convenzioni internazionali o condizioni  di  reciprocita')
dal novero dei membri del nucleo familiare cui e' rivolto l'assegno i
familiari dello straniero che non abbiano la residenza, da  ritenersi
effettiva e  non  solo  formale,  nel  territorio  della  Repubblica,
introduce  una  disciplina  differente  rispetto  a  quella  generale
fissata dalla legge n. 153 del 1988, art. 2, comma 2, valevole per  i
cittadini dello Stato italiano per i quali l'assegno  per  il  nucleo
familiare spetta a prescindere dalla residenza dei membri del  nucleo
familiare medesimo; b) l'art. 12 della direttiva n. 2011/98/UE, primo
paragrafo, lettera e), prevede che i lavoratori dei  Paesi  terzi  di
cui all'art. 3, paragrafo 1, lettere b) e c) (tra i quali  certamente
rientra Belpagoda S. Gamage)  beneficiano  dello  stesso  trattamento
riservato ai cittadini dello Stato membro  in  cui  soggiornano,  tra
l'altro, quanto ai  settori  della  sicurezza  sociale  definiti  nel
regolamento (CE); c) l'assegno per il nucleo  familiare  oggetto  del
giudizio rientra nei settori della  sicurezza  sociale  definiti  nel
regolamento (CE) n. 883/2004 come confermato dalla sentenza 21 giugno
2017,  C-449/16,  Martines  Silva  della  Corte   di   giustizia   UE
pronunciatasi  a  proposito  dell'assegno  previsto  dalla  legge  23
dicembre 1998, n. 448, art. 65, misura analoga a quella in esame;  d)
lo Stato italiano - pur essendo da tempo scaduto il  termine  del  25
dicembre 2013 previsto per il recepimento - non  ha  recepito  l'art.
12, della direttiva indicata che e' norma chiara, incondizionata,  di
immediata applicazione e relativa a rapporti verticali  tra  Stato  e
soggetti privati; e) la facolta' di deroga all'obbligo di parita'  di
trattamento di  cui  all'art.  12,  paragrafo  2,  lettera  b)  della
direttiva n.  2011/98/UE  non  e'  stata  esercitata  e  non  sarebbe
comunque applicabile al caso di specie; f) la legge n. 153 del  1988,
art. 2, comma 6-bis,  si  pone  in  contrasto  con  la  direttiva  n.
2011/98/UE e realizza una oggettiva  discriminazione  e  va,  dunque,
disapplicato in presenza  di  disposizione  contenuta  nell'art.  12,
paragrafo 1,  della  citata  direttiva,  di  diretta  applicabilita',
sufficientemente precisa e priva di condizioni per la sua esecuzione. 
    5.  Avverso  tale  sentenza  l'INPS  ha  proposto   ricorso   per
cassazione fondato su di un unico motivo  con  il  quale  lamenta  la
violazione  e  o  falsa  applicazione  del  combinato  disposto   del
decreto-legge n. 69 del 1988, art. 2,  comma  6-bis,  convertito  con
modificazioni in legge n. 153 del 1988, degli articoli 43  e  44  del
decreto legislativo n. 286 del 1998, dell'art. 12 della direttiva  n.
2011/98/UE e del decreto legislativo 4 marzo 2014, n.  40,  attuativo
della predetta direttiva -  anche  in  relazione  all'art.  12  delle
disposizioni sulla legge in generale. 
    5.  Il  ricorrente,  premesso  che  la  direttiva  n.  2011/98/UE
(relativa alla procedura unica di domanda  per  un  permesso  unico),
attuata in Italia con il decreto legislativo 4 marzo 2014, n. 40,  si
riferisce ai cittadini di  Stati  terzi  che  si  trovino  presso  il
territorio dello Stato membro per periodi piu' brevi dei cinque  anni
necessari ad ottenere il permesso di soggiorno per lungo  periodo,  e
fonda tale denunzia sulla affermazione che, al  contrario  di  quanto
statuito dalla sentenza impugnata, l'interpretazione della  direttiva
n. 2011/98 UE va condotta anche sulla base dei «considerando» 8,  19,
24 e 26  che  evidenziano  la  diversa  posizione  dei  titolari  del
permesso unico  di  lavoro  e  soggiorno  rispetto  ai  titolari  del
permesso di soggiorno di cui alla direttiva n. 2003/109 CE, l'assenza
di una normativa europea comune ai Paesi dell'Unione  in  materia  di
diritti sui quali sia  garantita  ai  cittadini  di  Stati  terzi  la
parita' di trattamento, la finalita'  di  non  conferire  diritti  in
relazione a situazioni che esulano dall'ambito  di  applicazione  del
diritto dell'Unione ad esempio in relazione a familiari  soggiornanti
in un Paese terzo e la discrezionalita'  concessa  a  ciascuno  Stato
membro nel limitare la concessione, l'importo  ed  il  periodo  delle
prestazioni di sicurezza sociale da riconoscere ai cittadini di Stati
terzi; l'assegno per il nucleo familiare di cui al  decreto-legge  n.
69 del 1988, art. 2, conv. in  legge  n.  153  del  1988,  ha  natura
previdenziale e non assistenziale, del tutto  diverso  per  natura  e
struttura dalla prestazione prevista dalla legge  n.  448  del  1998,
art. 65. 
    6. S. Belpagoda Gamage ha resistito con controricorso. 
    7. Entrambe le parti hanno depositato memorie. 
    8. Questa Corte di cassazione, con  ordinanza  interlocutoria  n.
9022 del  2019,  ha  disposto  rinvio  pregiudiziale  alla  Corte  di
giustizia dell'Unione europea, ai sensi dell'art.  267  del  Trattato
sul funzionamento dell'Unione europea, considerando che: 
        a) rileva la situazione dei componenti del  nucleo  familiare
del lavoratore  S.  Belpagoda  Gamage  proveniente  da  Stato  terzo,
occupato in Italia ed in possesso del permesso  unico  di  lavoro  ai
sensi della direttiva n. 2011/98/UE  del  Parlamento  europeo  e  del
Consiglio; tali componenti  del  nucleo  familiare  sono  stati,  nei
periodi rilevanti per la  controversia,  pacificamente  residenti  in
fatto in Sri Lanka  (Stato  terzo  d'origine)  ed  il  lavoratore  ha
denunciato il carattere discriminatorio  della  loro  esclusione  nel
computo  dei  componenti  e  del  reddito  del  nucleo  familiare  da
considerare per il  calcolo  dell'importo  del  trattamento  previsto
dalla legge n. 153 del 1988, art. 2, comma 2; 
        b)  la  fattispecie  di  fatto   relativa   alla   condizione
lavorativa del cittadino di Stato terzo S. Belpagoda  Gamage  rientra
nella  sfera  di  applicazione  della  direttiva  n.  2011/98/UE  del
Parlamento europeo e del Consiglio; 
        c) la direttiva del Parlamento europeo  e  del  Consiglio  n.
2011/98/UE, nei considerando, prevede: al punto 2) [...] che l'Unione
europea dovrebbe garantire l'equo trattamento dei cittadini dei Paesi
terzi che soggiornano regolarmente nel territorio degli Stati  membri
[...]; al punto 19) che [...] e' opportuno  definire  un  insieme  di
diritti al fine, in particolare, di specificare i settori in  cui  e'
garantita la parita' di trattamento tra  i  cittadini  di  uno  Stato
membro e i cittadini di Paesi terzi che non beneficiano ancora  dello
status di soggiornanti di lungo periodo [...]; al punto 20) che [...]
tutti  i  cittadini  di  Paesi  terzi  che  soggiornano  e   lavorano
regolarmente negli Stati membri dovrebbero beneficiare quanto meno di
uno stesso  insieme  comune  di  diritti,  basato  sulla  parita'  di
trattamento  con  i  cittadini  dello  Stato  membro   ospitante,   a
prescindere dal fine iniziale o dal motivo dell'ammissione [...];  al
punto  24)  che  [...]  i  lavoratori  di  Paesi   terzi   dovrebbero
beneficiare della parita'  di  trattamento  per  quanto  riguarda  la
sicurezza sociale. I settori della sicurezza  sociale  sono  definiti
dal regolamento  (CE)  n.  883/2004  del  Parlamento  europeo  e  del
Consiglio, del 29 aprile 2004, relativo al coordinamento dei  sistemi
di sicurezza sociale; al punto 26) che [...] il  diritto  dell'Unione
non limita la facolta' degli Stati membri di organizzare i rispettivi
regimi di sicurezza sociale. In mancanza di armonizzazione a  livello
di Unione, spetta a ciascuno Stato membro stabilire le condizioni per
la  concessione  delle  prestazioni  di  sicurezza  sociale   nonche'
l'importo di tali prestazioni e il  periodo  durante  il  quale  sono
concesse. Tuttavia, nell'esercitare tale facolta', gli  Stati  membri
dovrebbero conformarsi al diritto dell'Unione; 
          la medesima direttiva all'art. 12, paragrafo 1, lettera  e)
prevede: «1.  I  lavoratori  dei  Paesi  terzi  di  cui  all'art.  3,
paragrafo 1, lettere b) e c), beneficiano  dello  stesso  trattamento
riservato ai cittadini dello Stato  membro  in  cui  soggiornano  per
quanto concerne: a) (...); b) (...); d) (...);  e)  i  settori  della
sicurezza sociale definiti nel regolamento (CE) n. 883/2004; 
        d) dal punto di vista delle disposizioni nazionali  viene  in
rilievo il decreto-legge 13 marzo  1988,  n.  69  «Norme  in  materia
previdenziale,  per  il  miglioramento  delle  gestioni  degli   enti
portuali ed altre disposizioni urgenti, conv. con mod.  in  legge  n.
153 del 1988». Titolo I - Norme in materia previdenziale - art.  2  -
1. Per i lavoratori dipendenti, i titolari  delle  pensioni  e  delle
prestazioni economiche previdenziali derivanti da lavoro  dipendente,
i lavoratori assistiti dall'assicurazione contro la  tubercolosi,  il
personale statale in  attivita'  di  servizio  ed  in  quiescenza,  i
dipendenti e pensionati degli enti pubblici anche non territoriali, a
decorrere dal periodo di paga  in  corso  al  1°  gennaio  1988,  gli
assegni familiari, le quote  di  aggiunta  di  famiglia,  ogni  altro
trattamento di famiglia comunque denominato e la maggiorazione di cui
al decreto-legge 29 gennaio 1983, n.  17,  art.  5,  convertito,  con
modificazioni, dalla legge 25 marzo 1983, n. 79,  cessano  di  essere
corrisposti e sono sostituiti, ove ricorrano le  condizioni  previste
dalle disposizioni del presente articolo, dall'assegno per il  nucleo
familiare. 
        2. L'assegno compete in misura differenziata in  rapporto  al
numero dei componenti ed al reddito del nucleo familiare, secondo  la
tabella allegata al presente decreto.  I  livelli  di  reddito  della
predetta tabella sono aumentati di  lire  dieci  milioni  per  nuclei
familiari che  comprendono  soggetti  che  si  trovino,  a  causa  di
infermita' o difetto fisico o  mentale,  nell'assoluta  e  permanente
impossibilita'  di  dedicarsi  ad  un  proficuo  lavoro,  ovvero,  se
minorenni, che abbiano difficolta' persistenti a svolgere i compiti e
le funzioni proprie della loro eta'. I medesimi  livelli  di  reddito
sono aumentati di lire due milioni se i soggetti di cui al comma 1 si
trovano in condizioni di vedovo o vedova,  divorziato  o  divorziata,
separato o separata legalmente, celibe o nubile. Con effetto  dal  1°
luglio 1994, qualora del nucleo familiare di cui al comma 6  facciano
parte due o piu' figli, l'importo mensile dell'assegno  spettante  e'
aumentato di lire 20.000 per ogni figlio, con esclusione del primo. 
        3. (...). 4. (...). 5 (...). 
        6.  Il  nucleo  familiare  e'  composto  dai   coniugi,   con
esclusione del coniuge legalmente ed effettivamente separato,  e  dai
figli ed equiparati,  ai  sensi  del  decreto  del  Presidente  della
Repubblica 26 aprile 1957, n. 818,  art.  38,  di  eta'  inferiore  a
diciotto anni compiuti ovvero,  senza  limite  di  eta',  qualora  si
trovino,  a  causa  di  infermita'  o  difetto  fisico   o   mentale,
nell'assoluta e permanente impossibilita' di dedicarsi ad un proficuo
lavoro.  Del  nucleo  familiare  possono  far  parte,   alle   stesse
condizioni previste per i figli ed equiparati, anche i  fratelli,  le
sorelle ed i nipoti di eta' inferiore a diciotto anni compiuti ovvero
senza limiti di eta', qualora si trovino, a  causa  di  infermita'  o
difetto fisico o mentale, nell'assoluta e  permanente  impossibilita'
di dedicarsi ad un proficuo lavoro, nel caso in cui essi siano orfani
di entrambi i genitori e non abbiano conseguito il diritto a pensione
ai superstiti. 
        6-bis. Non fanno parte del nucleo familiare di cui al comma 6
il coniuge ed i figli ed equiparati di cittadino  straniero  che  non
abbiano la residenza nel territorio della Repubblica, salvo che dallo
Stato di cui lo straniero e' cittadino sia riservato  un  trattamento
di reciprocita' nei confronti dei cittadini italiani ovvero sia stata
stipulata convenzione internazionale in  materia  di  trattamenti  di
famiglia. L'accertamento degli Stati nei quali vige il  principio  di
reciprocita' e' effettuato dal Ministro del lavoro e della previdenza
sociale, sentito il Ministro degli affari esteri. 
        7. (...) 8-bis. (...) 9. (...) 10. (...) 11. (...) 12.  (...)
12-bis. (...) 13. (...) 14. (..); 
        e)  e'  insorto  un  dubbio  interpretativo   relativo   alla
eventualita' che il principio fissato dall'art.  12  -  paragrafo  1,
lettera e) della  citata  direttiva  n.  2011/98/UE  comporti  che  i
familiari del cittadino di Stato terzo, titolare del  permesso  unico
di soggiorno e lavoro e del diritto alla erogazione dell'assegno  per
il nucleo familiare di cui alla legge n. 153 del 1988,  art.  2,  pur
risiedendo di fatto fuori  dal  territorio  dello  Stato  membro  ove
questi presta attivita' lavorativa,  siano  inclusi  nel  novero  dei
familiari sostanziali beneficiari del trattamento stesso  e  cio'  in
quanto si deve ritenere che il  nucleo  familiare  individuato  dalla
legge n. 153 del 1988, art. 2 non e' solo considerato quale  base  di
calcolo dell'importo relativo al trattamento familiare in oggetto  ma
ne e' anche il  beneficiario,  per  il  tramite  del  titolare  della
retribuzione o della pensione cui lo stesso accede; 
        f) l'assegno per il nucleo familiare di cui al  decreto-legge
n. 69 del 1988, art. 2, conv. in legge n. 153 del 1988, e' dal  punto
di vista della sua struttura formale una  integrazione  economica  di
cui beneficiano tutti i prestatori di lavoro sul territorio italiano,
i titolari di pensioni  e  di  prestazioni  economiche  previdenziali
derivanti  da  lavoro  subordinato,   i   lavoratori   assistiti   da
assicurazione contro malattie, i dipendenti  ed  i  pensionati  degli
enti pubblici,  purche'  abbiano  un  nucleo  familiare  che  produca
redditi non superiori ad una soglia individuata; 
        g) l'importo  dell'assegno  per  il  nucleo  familiare  viene
quantificato in proporzione al numero dei componenti, al  numero  dei
figli e al reddito familiare; 
        h) quanto alla natura della prestazione, la giurisprudenza di
questa Corte di cassazione ha avuto modo  di  evidenziare  la  natura
duplice dell'assegno per il nucleo familiare di cui alla legge n. 153
del 1988, art. 2: 
          da un lato, le sezioni unite della Corte  di  cassazione  7
marzo 2008, n. 6179 hanno attribuito al trattamento in  esame  natura
previdenziale essendo lo stesso fondato sul meccanismo finanziario di
provvista della contribuzione dei datori di lavoro  e  di  erogazione
congiunta con la retribuzione (art. 2, comma 3 sopra riportato) e non
essendo  raccordato  alla  retribuzione  del  «capofamiglia» -   come
avveniva con il previgente decreto del Presidente della Repubblica 30
maggio 1955, n. 797, art. 1 - ed al numero e qualita' delle persone a
carico, in misura differenziata per  i  vari  comparti  produttivi  e
settori merceologici; l'assegno per il nucleo  familiare  e'  infatti
raccordato al  reddito,  di  qualsiasi  natura,  e  non  del  singolo
lavoratore, ma a quello complessivo del suo nucleo  familiare  (comma
9) e   nello   stesso   senso,   la   Corte   costituzionale   (Corte
costituzionale  14   dicembre   1995,   n.   516),   ha   evidenziato
l'unificazione della funzione previdenziale del  nuovo  Istituto  che
rafforza la stretta correlazione con il tipo di  pensione,  goduta  e
valorizza gli elementi strutturali del trattamento familiare in esame
in quanto finanziato dai contributi  versati  da  parte  di  tutti  i
datori di lavoro (cui si aggiunge il concorso integrativo dello Stato
legge n. 153 del 1988; ex  art.  2,  comma  13),  ed  il  sistema  di
erogazione, attuato mediante anticipazione del datore di  lavoro  che
e' autorizzato a porre a conguaglio quanto  versato  con  il  proprio
debito contributivo; 
          peraltro, Cassazione n. 6351 del 30 marzo 2015 e Cassazione
n. 3214 del 2018, ricollegandosi a precedenti pronunce e valorizzando
l'incidenza del numero e della condizione psico-fisica dei componenti
del nucleo familiare e del  reddito  prodotto  dal  medesimo  nucleo,
hanno affermato la natura assistenziale dell'assegno  per  il  nucleo
familiare; 
        l) si e' dunque affermato che l'Istituto  in  esame  realizza
una compenetrazione tra strumenti previdenziali  ed  assistenziali  e
precisamente tra quelli posti a tutela per il carico di famiglia, con
quelli apprestati a tutela di malattie, essendosi rivolta particolare
attenzione a quei nuclei familiari che presentano aree di  accentuata
sofferenza in ragione di infermita' che hanno  colpito  qualcuno  del
propri componenti e quindi tale Istituto  integra  quelle  rientranti
nell'ambito della previsione di cui all'art. 12, paragrafo 1, lettera
e) della direttiva n. 98/2011/UE, che contempla,  tra  quelli  per  i
quali va assicurata la  parita'  di  trattamento,  «i  settori  della
sicurezza sociale definiti nel regolamento (CE) n. 883/2004». 
        9. La questione pregiudiziale ha dunque avuto ad  oggetto  il
quesito se, poiche' secondo il disposto della legge n. 153 del  1988,
art. 2, comma 6-bis, solo i familiari del cittadino  straniero  vanno
esclusi dal nucleo familiare qualora rientrino nello Stato terzo e la
loro residenza effettiva non possa piu' dirsi  in  Italia  e  non  vi
siano condizioni di reciprocita', la direttiva  n.  2011/98/UE,  art.
12, paragrafo 1, lettera e), osti alla previsione  nazionale  citata,
precisato che per cittadino straniero deve  intendersi  il  cittadino
non appartenente all'Unione europea, ai sensi del decreto legislativo
25 luglio 1998, n. 286, testo unico delle disposizioni concernenti la
disciplina  dell'immigrazione  e   norme   sulla   condizione   dello
straniero, e successive modificazioni (t.u. immigrazione). 
        10. Con  sentenza  della  CGUE  Quinta  sezione  nella  causa
C-302/109 del 25 novembre 2020, e' stato  affermato  che  l'art.  12,
paragrafo 1, lettera e), della direttiva n.  2011/98/UE  osta  a  una
normativa di uno Stato membro come l'art. 2, comma 6-bis, della legge
n. 153/1988 in forza della quale, ai fini  della  determinazione  dei
diritti a una prestazione di sicurezza sociale, non vengono presi  in
considerazione i familiari del titolare  di  un  permesso  unico,  ai
sensi  dell'art.  2,  lettera  c),  della  medesima  direttiva,   che
risiedano non gia' nel territorio di tale Stato membro, bensi' in  un
Paese terzo, mentre vengono presi in considerazione i  familiari  del
cittadino di detto Stato membro residenti in un Paese terzo; 
 
                       Considerato in diritto 
 
    12. Occorre dare esecuzione  alla  sentenza  della  CGUE  del  25
novembre 2020 sopra indicata in applicazione del  principio  generale
di cooperazione, il quale impone a tutte le autorita' statali di  non
adottare   atti   e/o   comportamenti   che    possano    determinare
l'inadempimento di obblighi comunitari. 
    13. Secondo la giurisprudenza  della  C.G.U.E.  (sentenza  del  3
febbraio 1977 Luigi Benedetti contro Munari F.lli s.a.s.) che  a  sua
volta si rifa' a propri conformi precedenti, «[...]  risulta  da  una
giurisprudenza costante che la sentenza con  la  quale  la  Corte  si
pronunzia in via pregiudiziale vincola il giudice  nazionale  per  la
definizione della lite principale (v.,  in  particolare,  sentenza  3
febbraio 1977, causa 52/76, Benedetti, Racc. pag. 163,  punto  26,  e
ordinanza 5 marzo 1986,  causa  69/85,  Wünsche  Handelsgesellschaft,
Racc. pag. 947, punto 13).  50  [...]  il  giudice  nazionale  ha  la
facolta' e, eventualmente, l'obbligo di deferire  alla  Corte,  anche
d'ufficio, una questione di interpretazione della sesta direttiva, se
ritiene che una decisione della Corte sia necessaria  su  tale  punto
per pronunciare la sua sentenza e, quando ha effettuato tale  rinvio,
e' vincolato dalla decisione della Corte allorche' esso pronuncia  la
sentenza che definisce la controversia principale». 
    14.  In  particolare,  in  materia  di   rimozione   di   effetti
antidiscriminatori derivanti da atti normativi, (C.G.U.E  22  gennaio
2019 C-193/17) ha affermato che «[...]  se  e'  vero  che  gli  Stati
membri, conformemente all'art. 16 della direttiva  n.  2000/78,  sono
tenuti ad abrogare tutte le disposizioni legislative, regolamentari e
amministrative contrarie al principio della parita'  di  trattamento,
tale articolo  non  impone  loro  tuttavia  di  adottare  determinati
provvedimenti in caso di violazione del divieto di discriminazione ma
lascia ai medesimi la liberta' di scegliere, fra le  varie  soluzioni
atte a conseguire lo scopo che esso contempla, quella che  appare  la
piu' adatta a tale effetto, in funzione delle situazioni che  possono
presentarsi  (v.,  in  tal  senso,  sentenza  del  14   marzo   2018,
Stollwitzer, C-482/16, EU:C:2018:180, punti 28 e 30)». 
    Rilevanza della questione di costituzionalita'. 
    15. La Corte di giustizia con la sentenza indicata ha  dichiarato
l'incompatibilita' tra l'art. 2, comma 6-bis, decreto-legge n. 69 del
1988 conv. in legge n. 153 del 1988 ed il  principio  di  parita'  di
trattamento di cui all'art. 12, paragrafo 1, lettera e), direttiva n.
98 del 2011: cio'  si  traduce  nella  considerazione  che,  ai  fini
dell'eliminazione dell'effetto discriminatorio da rimuovere,  non  e'
tanto significativa la condotta (meramente esecutiva  della  volonta'
di legge) osservata dall'INPS nel  negare  la  prestazione  economica
dell'assegno per il nucleo familiare oggetto di  ricorso,  quanto  la
formulazione  della   disposizione   italiana   che   disciplina   la
fattispecie concreta, per cui per dare piena esecuzione alla sentenza
della CGUE in oggetto non e' sufficiente limitarsi  a  respingere  il
ricorso  per  cassazione  dell'INPS  confermando  la   pronuncia   di
affermata disapplicazione adottata dalla Corte d'appello. 
    In altre parole, ad avviso di questa Corte  di  legittimita',  la
questione di merito rimessa al proprio ambito di  giudizio  non  puo'
essere risolta procedendo alla mera «interpretazione  conforme»,  non
sussistendo  in  proposito  quel  margine  di  discrezionalita'   che
consente  all'interprete  di  scegliere   tra   due   interpretazioni
possibili  della  norma  interna,  a   fronte   della   chiarezza   e
inequivocita' dell'art. 2, comma 6-bis, decreto-legge n. 69 del 1988,
la' dove prevede: «Non fanno parte del nucleo  familiare  di  cui  al
comma 6 il coniuge ed i figli ed equiparati  di  cittadino  straniero
che non abbiano la residenza nel territorio della  Repubblica,  salvo
che dallo Stato di cui lo straniero e'  cittadino  sia  riservato  un
trattamento di reciprocita'  nei  confronti  dei  cittadini  italiani
ovvero sia stata stipulata convenzione internazionale in  materia  di
trattamenti di famiglia». 
    16. Neppure puo' farsi ricorso alla tecnica di  «disapplicazione»
della norma in esame, giacche' tale  evenienza  potrebbe  verificarsi
solo alla condizione che la direttiva sia dotata di efficacia diretta
cioe' che la norma contestata sia suscettibile di essere disapplicata
per contrasto con normative comunitarie; nel caso di  specie  non  e'
individuabile  una  disciplina   self-executing   di   tale   matrice
direttamente  applicabile  alla  fattispecie  oggetto  di   giudizio,
giacche' il diritto dell'Unione non regola  direttamente  la  materia
dei trattamenti di famiglia. 
    17. Piu' in  generale,  non  puo'  dirsi  che  in  via  ordinaria
attraverso l'utilizzo delle direttive,  in  materia  previdenziale  e
non, il diritto  dell'Unione  realizzi  l'effetto  di  sostituire  la
disciplina nazionale  con  una  propria  regolamentazione,  cosa  che
invece avviene ove vengano emanati dei regolamenti. 
    18. Cio' nonostante  la  progressiva  attenzione  posta  in  sede
europea  nei  riguardi  della  politica  sociale  (a  partire   dalle
modifiche al trattato istitutivo del  1957  e  sino  al  trattato  di
Lisbona del 2007, passando per l'atto unico europeo del 1986, per  il
trattato di Maastricht del 1992 e per il trattato  di  Amsterdam  del
1997), con  l'evidente  spinta  esercitata  nel  perseguimento  degli
obbiettivi della libera circolazione dei lavoratori all'interno dello
spazio  comune  europeo,   con   la   fissazione   del   divieto   di
discriminazione per nazionalita', ed ancor di piu' con la previsione,
ad opera soprattutto del fondamentale regolamento n. 1408  del  1971,
rielaborato dal regolamento n. 883 del 2004 ed  infine  adottato  dal
regolamento  n.  987  del   2009,   di   specifiche   discipline   di
coordinamento  delle  regole  nazionali  in  tema  di   contribuzioni
previdenziali   e   di   singole   prestazioni   che    costituiscono
l'inveramento del cd. principio di sussidiarieta'  (5,  paragrafo  3,
TUE, art. 152, del Trattato sul  funzionamento  dell'Unione  europea)
sul quale poggia l'intervento delle istituzioni dell'Unione possibile
quando: il medesimo non riguardi un settore di  competenza  esclusiva
dell'Unione (competenza non  esclusiva);  gli  obiettivi  dell'azione
prevista non possono essere conseguiti in  misura  sufficiente  dagli
Stati membri (necessita'); l'azione puo', a motivo  della  portata  o
degli effetti della stessa, essere conseguita  meglio  a  livello  di
Unione (valore aggiunto). 
    19. La direttiva n.  98  del  2011,  all'art.  12,  paragrafo  1,
lettera e), dunque, pur imponendo allo Stato italiano di non trattare
diversamente dagli altri destinatari, considerandoli quali componenti
del nucleo familiare ai fini del calcolo  dell'assegno  familiare,  i
congiunti del lavoratore non cittadino europeo anche se residenti  in
Paese terzo, come ha affermato la Corte di giustizia con la  sentenza
del 25 novembre 2020 adita in via pregiudiziale da  questa  Corte  di
cassazione in seno  a  questo  stesso  giudizio,  non  e'  disciplina
completa che consenta di affermare in via diretta  il  primato  della
(inesistente) disciplina euro unitaria sulla disciplina nazionale. 
    20. In verita', l'affermazione che anche  tale  concreta  ipotesi
rientra nell'ambito protetto della direttiva (con  la  necessita'  di
applicare il principio di parita' di trattamento),  non  consegna  al
giudice nazionale un meccanismo normativo di  immediata  applicazione
che possa realizzarsi solo ove la  norma  europea  sia  in  grado  di
sostituirsi  integralmente,  nell'applicazione  concreta,  a   quella
nazionale. 
    21. Nel caso di specie, esclusa la possibilita'  di  interpretare
il testo di legge italiana in senso  conforme  alla  lettura  fornita
dalla  CGUE,  non  potendosi  dare  immediata  applicazione  ad   una
disciplina euro unitaria  inesistente,  quella,  che  viene  definita
«disapplicazione» altro non  realizzerebbe  che  una  modifica  della
norma  nazionale  mediante  la  sostituzione   del   criterio   della
reciprocita' ovvero della specifica  convenzione  internazionale  con
quello della parita' di trattamento, ove i destinatari diretti  della
prestazione siano cittadini di  Paesi  non  europei  titolari  di  un
permesso di lungo soggiorno ai sensi della citata direttiva. 
    22. Tale operazione, del tutto distante dal fenomeno che si suole
descrivere con l'efficacia diretta delle direttive self-executing, si
tradurrebbe inevitabilmente in un  intervento  di  tipo  manipolativo
inibito a questa Corte di  legittimita'  che,  nell'esercizio  di  un
doveroso self restraint, non puo' estendere i  propri  compiti  oltre
quelli  che  l'ordinamento  le  attribuisce   e   che   non   possono
oltrepassare i limiti della  interpretazione  ed  applicazione  delle
leggi. 
    23. In altre parole, quando -  come  nel  caso  di  specie  -  la
direttiva euro  unitaria  non  produca  effetti  diretti  e  non  sia
possibile ad essa adeguare in via interpretativa  le  regole  interne
(ostandovi il chiaro tenore letterale di queste  ultime),  non  resta
che investire della questione la Corte costituzionale. 
    Non manifesta infondatezza. 
    25. Secondo l'interpretazione resa dalla sentenza della CGUE  del
25 novembre 2020 sopra citata a proposito della direttiva n.  98  del
2011 e segnatamente dell'art. 12, paragrafo 1, lettera e) e dell'art.
3, paragrafo 1, lettere b) e c), lo Stato italiano viola la direttiva
medesima quando con l'art. 2, comma 6-bis, decreto-legge  n.  69  del
1988, conv. in legge n. 153  del  1988  non  osserva  la  parita'  di
trattamento tra i beneficiari cittadini nazionali ed europei e quelli
appartenenti a Paesi terzi che siano anche titolari di permesso unico
di lavoro e di soggiorno ai  sensi  della  medesima  direttiva;  tale
accertata  incompatibilita'   rende   evidente   la   non   manifesta
infondatezza della questione di legittimita' costituzionale dell'art.
2, comma 6-bis, decreto-legge n. 69 del 1988, conv. in legge  n.  153
del 1988 per violazione dell'art. 11 della Costituzione  e  dell'art.
117,  primo  comma  della  Costituzione,  quest'ultimo  in  relazione
all'art. 12, paragrafo  1,  lettera  e),  la'  dove,  ai  fini  della
determinazione del diritto all'assegno per il nucleo  familiare,  non
vengono presi in considerazione i familiari del  lavoratore  titolare
di un permesso unico di lavoro e di soggiorno, ai sensi dell'art.  2,
lettera b) della citata direttiva, relativa a una procedura unica  di
domanda per  il  rilascio  di  un  permesso  unico  che  consente  ai
cittadini di Paesi terzi di soggiornare e lavorare nel territorio  di
uno Stato membro e a un insieme comune di diritti per i lavoratori di
Paesi terzi che soggiornano regolarmente in uno Stato membro. 
    26. La giurisprudenza costituzionale (Corte costituzionale n. 227
del 2010 e, in precedenza, le sentenze n. 232/1975, n.  183/1973,  n.
98/1965 e  n.  14/1964)  ha  individuato  il  sicuro  fondamento  del
rapporto tra ordinamento nazionale e diritto comunitario nell'art. 11
della Costituzione, in forza del quale la Corte ha riconosciuto,  tra
l'altro, il  principio  di  prevalenza  del  diritto  comunitario  e,
conseguentemente, il potere-dovere  del  giudice  nazionale  di  dare
immediata applicazione alle norme comunitarie  provviste  di  effetto
diretto in luogo di norme interne che siano  con  esse  in  contrasto
insanabile in via interpretativa; ovvero di  sollevare  questione  di
legittimita'  costituzionale  per  violazione   di   quel   parametro
costituzionale quando il contrasto fosse con norme comunitarie  prive
di effetto  diretto.  Il  novellato  art.  117,  primo  comma,  della
Costituzione - che pure ha colmato la lacuna della mancata  copertura
costituzionale per le  norme  internazionali  convenzionali,  escluse
dalla previsione dell'art. 10, primo comma, della Costituzione  -  ha
dunque confermato espressamente, in parte, do'  che  era  stato  gia'
collegato all'art. 11  della  Costituzione,  e  cioe'  l'obbligo  del
legislatore, statale e regionale, di rispettare i  vincoli  derivanti
dall'ordinamento comunitario. 
    27. Sempre la  giurisprudenza  costituzionale  su  richiamata  ha
affermato che non  puo'  attribuirsi  effetto  diretto,  al  fine  di
rendere  possibile  la  disapplicazione  della  normativa   nazionale
incompatibile, all'art. 12 del Trattato CE, oggi art. 18 del Trattato
sul funzionamento dell'Unione europea, che vieta ogni discriminazione
in base alla nazionalita' nel campo  di  applicazione  del  trattato.
Anche sotto tale profilo e' stato ritenuto  corretto  il  ricorso  al
giudice  delle  leggi,  poiche'  il  contrasto  della  norma  con  il
principio di non discriminazione non e' sempre di per se' sufficiente
a consentire la «non applicazione» della confliggente  norma  interna
da parte del giudice comune. Invero, il divieto in esame, pur essendo
in linea di principio di diretta applicazione ed  efficacia,  non  e'
dotato di una portata assoluta tale da far ritenere sempre e comunque
incompatibile  la  norma  nazionale  che  formalmente  vi  contrasti,
poiche' e' consentito  al  legislatore  nazionale  di  prevedere  una
limitazione alla parita' di trattamento tra il proprio cittadino e il
cittadino di altro Stato membro, a condizione che sia proporzionata e
adeguata. 
    28. L'ipotesi di illegittimita' della  norma  nazionale  per  non
corretta  attuazione  della  decisione   quadro   e'   riconducibile,
pertanto, ai casi in  cui,  secondo  la  giurisprudenza  della  Corte
costituzionale, non sussiste il potere del  giudice  comune  di  «non
applicare» la prima, bensi' il potere-dovere di  sollevare  questione
di legittimita' costituzionale, per violazione degli  articoli  11  e
117,  primo  comma,  della  Costituzione,   integrati   dalla   norma
conferente dell'Unione,  ove,  come  nella  specie,  sia  impossibile
escludere il detto contrasto con gli ordinari  strumenti  ermeneutici
consentiti dall'ordinamento. 
    Thema decidendum. 
    29. Il profilo della questione attiene, dunque,  alla  violazione
degli articoli 11 e 117, primo comma, della Costituzione in relazione
all'art. 3, paragrafo 1, lettere b) e c) ed all'art. 12, paragrafo 1,
lettera e) della direttiva n. 2011/98/UE  del  Parlamento  europeo  e
Consiglio del 13 dicembre 2011, relativa allo status dei cittadini di
Paesi terzi che siano titolari di permesso unico di  soggiorno  e  di
lavoro, da parte dell'art. 2, comma sei bis, decreto-legge n. 69  del
1988, conv. in legge n. 153 del 1988  che  assoggetta  ad  un  regime
peculiare, regolato dal principio della reciprocita' o della apposita
convenzione, i beneficiari dell'assegno per il nucleo  familiare  non
cittadini italiani (o  europei)  che  non  risiedano  sul  territorio
nazionale,  piuttosto  che  ispirarsi  al  principio  di  parita'  di
trattamento senza discriminare a causa della nazionalita', come  pure
espressamente  vietato  dall'art.  12  della  direttiva  n.   2011/98
(applicabile ai cittadini di Paesi terzi, titolari del permesso unico
di soggiorno e  di  lavoro  come  l'odierno  contro  ricorrente)  che
espressamente prevede il diritto dei lavoratori di  cui  all'art.  3,
paragrafo 1, lettere b) e c), di beneficiare dello stesso trattamento
riservato ai cittadini dello Stato  membro  in  cui  soggiornano  per
quanto concerne - fra l'altro - all'art. 12, paragrafo 1, lettera e),
i settori della sicurezza sociale definiti nel  regolamento  (CE)  n.
883/2004. 
    Consegue alle argomentazioni sin qui svolte, che deve dichiararsi
rilevante  e  non   manifestamente   infondata,   la   questione   di
legittimita' costituzionale dell'art.  2,  decreto-legge  n.  69  del
1988, conv. in legge n. 153 del 1988 per contrasto con  gli  articoli
11 della Costituzione e  117,  primo  comma,  della  Costituzione  in
relazione alla direttiva n. 2011/98, art. 12, paragrafo 1, lettera e)
ed art. 3, paragrafo 1, lettere b) e c), che prevedono il diritto dei
cittadini di Paesi terzi titolari di permesso unico di  soggiorno  di
beneficiare dello stesso trattamento  riservato  ai  cittadini  dello
Stato membro in cui soggiornano per quanto concerne - fra  l'altro  -
all'art. 12, paragrafo 1,  lettera  e),  i  settori  della  sicurezza
sociale definiti nel Regolamento (CE) n. 883/2004. 
    A norma dall'art. 23, legge 11 marzo 1953, n. 87,  va  dichiarata
la sospensione del presente procedimento con l'immediata trasmissione
degli atti alla Corte costituzionale. 
    La cancelleria provvedera' alla notifica di copia della  presente
ordinanza alle parti e al Presidente del  Consiglio  dei  ministri  e
alla comunicazione  della  stessa  ai  Presidenti  della  Camera  dei
deputati e del Senato della Repubblica.